Di Giulia Orsi. Niente fiori sul palco dell’Ariston, così si presenta il teatro più importante di Italia in questa prima televisiva anche essa superstite del Covid-19. A presentarlo il navigato duo Amadeus e Fiorello che con grande sforzo ci provano, ma non ci riescono. La serata si apre con un Fiorello che, volendo fare il verso ad Achille Lauro, scende la scalinata più temuta del piccolo schermo con un mantello incastonato di fiori ma non suscita quella ilarità che si sperava. Amadeus come sempre, pur essendo il direttore artistico, è la spalla di tutti gli invitati anche dell’imponente Ibrahimovic che mastica male l’italiano ma è più convincente, aimè, di una sperduto Amadeus che non trova conferma nel suo pubblico essendo questo assente. Proprio questa importante mancanza è stata più e più volte dibattuta nell’arco di tempo che ha anticipato il festival, ma attenendosi alle normative vigenti e nel rispetto di tutti i teatri ed i suoi lavoratori si è scelto di non rendere accessibile la platea dell’Ariston, lasciando il posto ad uno sbattere di mani incessante ma registrato. I primi ad esibirsi sono quattro nuove proposte che hanno tanto nomi strani, quanto melodie musicali anonime. Seguono i bigs che non sembrano cavarsela molto meglio. Il festival quest’anno non riesce, non buca la schermo, non ha canzoni che restano nella memoria. Purtroppo, a quanto pare, il periodo di lockdown ha infiacchito di molto la creatività degli artisti, contro ogni pronostico. Gli ospiti speciali sono la salvezza della prima serata: una animalesca Loredana Bertè che nonostante il suo stile inappropriato ma senza dubbio identificativo, ruggisce come una leonessa da dietro il microfono. Si presenta con un medley dei suoi pezzi storici, si getta a briglia sciolta e l’orchestra è costretta a seguirla, è lei che fa la musica, detta le leggi, riuscendo alla perfezione in questo intento. Segue poi un affascinante Achille Lauro che non smette mai di stupire concedendosi ogni libertà artistica: sul palco è una sorta di angelo glam rock che piange sangue in onore alla classe degli artisti e degli addetti al settore, duramente colpiti dal covid. Lauro nel suo testo usa parole forti, urla la solitudine e si identifica con il tutto. “ Dio benedica chi è” dice Lauro alla fine della canzone Solo noi, che sia di buon auspicio per questo Festival, che non sembra avere una sua precisa identità ma che si spera che nel corso delle serate la trovi.