A cura di Giorgia Rinaldi. Senza quasi nemmeno rendercene conto, ogni giorno, scriviamo e ci esprimiamo liberamente. Ogni giorno ci informiamo, digitiamo e abbiamo libero arbitrio al diritto di parola e d’opinione. Spesso lo facciamo non riflettendo che ogni parola ha un peso. Spesso lo facciamo pensando che ogni pensiero è lecito solo perché si ha la possibilità di dire la propria idea su qualsiasi argomento. E così, dando tutto per scontato, ogni giorno ognuno di noi si sente libero di potersi esprimere come vuole, non ha bavagli e non subisce gravi conseguenze se si sente in diritto anche solo di commentare un post, molto frequentemente danneggiando inaccuratamente l’opinione di terze persone. Probabilmente questo avviene perché nessuno di noi ha portato sulle spalle il peso della conquista della libertà di opinione, di pensiero e di stampa con fatica. Non tutti sanno infatti che la libertà di espressione è un concetto che è stato portato avanti nella storia con sudore, lotta e impegno, dal 1689 (con le Bills of Rights) al giorno d’oggi. E per quanto fuori dal normale possa sembrare, in molti paesi ancora si lotta contro poteri tiranni che cercano di tarpare le ali all’opinione pubblica e alla libera informazione. Fortunatamente una situazione simile non è presente attualmente in Italia e per questo, dobbiamo rendere grazie alla nostra Carta costituzionale italiana che con l’articolo 21 garantisce la libertà di manifestazione del pensiero, assicurando la libertà di stampa. Dobbiamo rendere grazie a tutti coloro che finora hanno lavorato assiduamente per la divulgazione di notizie e informazioni. Nonostante siamo privilegiati di questo diritto, la libertà di stampa continua ad essere sotto attacco ovunque, anche da noi. A dimostrarlo è la classifica mondiale pubblicata annualmente dall’organizzazione non governativa e no-profit Reporters Sans Frontières, in occasione della Giornata internazionale della Libertà di Stampa. Sui 180 paesi analizzati, l’Italia si è classificata cinquantottesima peggiorando la sua classificazione di ben 17 posizioni rispetto all’anno precedente. Per chi si è chiesto come questo sia possibile, occorre precisare che la classifica stipulata da Rsf è redatta in base a cinque indicatori e contesti principali; politico, giuridico, economico, socioculturale e securitario. Una volta chiarito questo, tornando al quadro italiano, è ben comprensibile come il nostro paese sia sceso così tanto di graduatoria, potendo già ipotizzare le principali cause su questo regresso. Infatti, che sia per i media (ormai diventati mezzi di comunicazione di massa) o per i giornali, si è sempre più venuta a caratterizzare una comunicazione che va “da uno a molti”, spesso favorendo quell’uno e riducendo il livello di correttezza e veridicità del contenuto che si vuole comunicare. Allegandoci a questo dato di fatto, si è potuto notare come tra le molteplici cause che hanno influenzato il decadimento della libertà di stampa in Italia è stata riscontrata l’autocensura da parte dei giornalisti stessi. Un’autocensura che è dovuta per conformarsi alla linea editoriale della propria testata giornalistica, per evitare denunce di diffamazione e per le brutali conseguenze che questa professione deve da sempre accettare come intimidazioni fisiche e minacce di morte, portando numerosi giornalisti a munirsi di una scorta. Un’analisi che può lasciare a bocca aperta e che spinge a puntare il dito contro una legislazione che non tutela abbastanza l’attività giornalistica. Una tutela che dovrebbe essere volta alla pura informazione affinché, una volta per tutte, sia sradicata dai grandi gruppi finanziari legati a loro volta a partiti politici. Una tutela che dovrebbe arrivare anche alle principali emittenti televisive che da tempo sono fin troppo controllate dalla politica stessa. Una tutela che dovrebbe continuare a far respirare i media indipendenti invece di sopprimerli, come invece è accaduto con il recente caso WikiLeaks. Per chi non lo sapesse, WikiLeaks è un’organizzazione giornalistica senza scopo di lucro creata nel 2006 dal giornalista, attivista e programmatore australiano Julian Assange. Il lavoro di questa piattaforma è stato fondamentale nel corso degli anni poiché è riuscita a diffondere oltre dieci milioni di documenti riservati su governi e apparati militari di spicco, levando i paraocchi all’intero pubblico occidentale. Tuttavia, a causa di un’operazione dell’associazione denominata “Cablegate”, in cui sono stati rilevati documenti riguardanti le operazioni militari americane in Afghanistan e Iraq denunciando omicidi e torture da parte dei soldati americani, nel 2019 Assange è stato arrestato e detenuto in un carcere di massima sicurezza a Londra in attesa che venga presa una decisione sulla sua estradizione negli Stati Uniti. La cosa sconvolgente è che gli Stati Uniti, che si proclamano tanto un paese democratico, hanno fatto gravare sul giornalista 175 anni di carcere per pirateria informatica e spionaggio. La cosa ancora più grave è che la Corte suprema britannica il 14 marzo 2022 ha bocciato il ricorso dei legali di Assange alla sua estradizione negli Stati Uniti. E per concludere, la cosa più triste; poca solidarietà e protesta tra giornalisti e politici internazionali per il caso Assange. Anche in Italia, la Camera dei deputati ha deciso di non riconoscere lo stato di rifugio politico al giornalista d’inchiesta australiano. Un testo riguardante il caso Assange era stato presentato dai parlamentari “L’alternativa c’è”, ma quest’ultimo è stato bocciato con l’esito di 225 no, 22 sì e 137 astenuti. Un quadro complessivo che spinge molti attuali e futuri giornalisti a voler mollare la presa e scegliere un’altra strada. Un quadro complessivo che dimostra che l’informazione non costituisce più l’elemento essenziale che spinge l’individuo a riflettere liberamente, formulare un’opinione veritiera e ad agire di conseguenza. Dettagli, eventi e fatti che dimostrano quanto sia più conveniente chiudere gli occhi, sostituire le rappresentazioni mediatiche all’esperienza del mondo reale e pensare in maniera deviata. Occorre però cominciare a pensare che ognuno di noi è parte integrante di questo sistema e che dunque, ha il potere di partecipare ad un cambiamento. Il punto di partenza di questo cambiamento è da rintracciare necessariamente nel saper riconoscere la libertà quando la si incontra e nel prenderci cura delle nostre libertà prima di prenderle.