Di Maria Nocera. L’aggressività è la soluzione a tutto. Rapine, aggressioni, bullismo, abusi, minacce, risse. In una società in cui tutto è un buon pretesto per scontrarsi, colpisci per primo o verrai colpito. Si agisce in branco, si punta al più debole, e la violenza diventa protagonista della cronaca, raccapricciando ma senza sorprendere. L’aggressività affonda le sue radici nella vulnerabilità, non ci si può mostrare deboli: si ha paura di avere paura. Ci sentiamo minacciati dal lavoro, dalla diversità, dalla società, dalla competizione, e inizia così un circolo vizioso di dimostrazione di forza da cui si cerca di uscire indenni. La violenza chiama altra violenza, e ci ritroviamo ad inveire contro gli altri, a causare litigi, a provocare dolore. Ma l’aggressività è anche un abito che indossiamo, un piatto che cuciniamo, è arte, è nelle conversazioni che facciamo; una maschera che indossiamo per apparire nel modo più conveniente. L’aggressività è una scelta, un modo di distinguersi, la scintilla dell’ambizione. È qui che dimostra la sua duplice natura: l’aggressività è male, ma anche schiettezza, determinazione, è una forma di difesa, un modo di farsi valere; e in questi casi la linea che divide il bene dal male si assottiglia divenendo poco chiara. È proprio la relatività della nostra società che ci porta a farne un uso sconsiderato, che ci influenza a vedere il mondo e l’aggressività come si guarda un quadro futurista: con il beneficio del dubbio, non potendo giudicare fino in fondo ciò che non si comprende appieno.