Di Francesca Spano. “Io le avevo detto di lasciarlo, ma lei continuava ad uscirci perché le faceva pena” dice Elena Cecchettin, sorella di Giulia, la ragazza di 22 anni scomparsa nel nulla con il suo ex fidanzato. È difronte a casi come questi che le parole non contano, sono vane anche se dette dalle persone a noi più care. È la paura che prende il sopravvento, che annebbia e offusca ogni verità e realtà. Si fa finta di non vedere, di non sentire. Si fa finta di credere che la violenza di cui si è vittima non è definibile tale ma è solo uno sbaglio momentaneo, un errore da non rifare. Invece in quell’errore ci si ricade sempre finché non diventa fatale. Giulia Cecchitin nel mese di agosto aveva deciso di lasciare il suo ragazzo Filippo Turetta ma questo non è stato abbastanza per allontanare l’uomo che ha continuato ad essere una presenza costante nella sua vita. È manipolazione psicologica quella di cui Giulia è stata vittima che l’hanno resa fragile e inerme, che l’hanno portata a sottostare a comportamenti oppressivi e di maniacale controllo della sua vita. Giulia credeva di fare la scelta giusta scegliendo di accantonare il bene per sé stessa per il bene di Filippo, evitando che quell’uomo sprofondasse in una deleteria solitudine. Si può chiamare amore questo? No, questa è paura. Non è amore se non c’è libertà e si è costretti ad azzerare sé stessi; non è amore se manca la fiducia; non è amore se non ti rende felice; non è amore se ti fa male. La preoccupazione che Filippo possa essersi spinto oltre la violenza psicologica con Giulia è una ipotesi che si è vista concretizzata quando lunedì 13 degli operai hanno scoperto delle macchie di sangue nella zona industriale di Fossò, a meno di quattro chilometri dalla città in cui i due ragazzi vivevano (Vigonovo), lì dove è stato agganciato il telefono di Filippo sabato sera, per poi essere definitivamente spento. È diventata realtà, invece, sabato 18 Novembre quando il cadavere della giovane è stato rinvenuto in un canalone lungo la strada che dal lago di Barcis conduce alla stazione turistica di Piancavallo (Pordenone).È straziante veder concretizzare in quella che prima era la storia di una coppia di giovani innamorati, il male. Ed io mi chiedo perché causare tutta questa sofferenza? Perché togliere la vita ad una ragazza privandola di conoscere il mondo, di realizzare i suoi sogni, di scoprire l’ignoto, di appassionarsi, di continuare ad amare, di godere semplicemente del suo diritto alla vita? Perché causare dolore a chi realmente amava e voleva il meglio per Giulia? Non c’è risposta a queste domande che possa ritenersi valida. Non è ammissibile che Filippo e chi come lui continui ad avere un posto al mondo e godere di anche un briciolo di questa esistenza. Oggi fare e rendere giustizia non basta. È necessario monitorare e rendere noto ogni atteggiamento fuori dal normale di cui si è vittime. È necessario denunciare. Non bisogna avere paura di chiedere aiuto ma bisogna averne di chi ci sta accanto e ci fa sentire insicure. La storia di Giulia si aggiunge, oggi, a quella di altre centoquattro donne che rappresentano il numero totale di donne uccise in Italia nell’ultimo anno . È sconvolgente realizzare tutto questo, bisogna dire basta e fermare necessariamente questa catena di orrore .

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