Di Federica Nardi. “Meglio tardi che mai”, dice qualcuno che prova ad accontentarsi. “Una storica vittoria”, dicono altri che l’hanno già fatto. A pesare è ancora una volta il grande vulnus normativo del nostro paese che colpisce direttamente – e da molti anni – studenti e studentesse fuori sede. Per le Elezioni Europee del 7 e dell’8 giugno potranno finalmente recarsi alle urne circa 600 mila universitari che per motivi di studio risiedono in un comune di una regione diversa da quella del proprio comune di iscrizione elettorale. Infatti, come stabilito dal Governo – seppur in via esclusivamente sperimentale – basterà presentare al comune di residenza  l’apposita domanda compilata entro e non oltre il 5 maggio allegando, inoltre, documento di identità, tessera elettorale e certificazione d’iscrizione universitaria. Mettiamo ora da parte le informazioni di servizio per entrare davvero nel merito della questione. Come ci si aspetta dalla più consueta campagna elettorale, i partiti politici sono in grande fermento ed agitazione e il totonomi che precede l’election day è solo appena cominciato: da destra a sinistra si fanno le prime ipotesi e si cercano le tanto attese conferme, vista la diffusa percezione di trovarsi tra le mani una posta in gioco più alta, rivolta non soltanto al futuro del nostro paese ma a quello dell’intera Comunità Europea afflitta e circondata dalle guerre più recenti. Con queste elezioni si sceglierà il nuovo volto dell’Europa e si deciderà in via definitiva l’aspetto e l’abito che più di tutti le si addice in questo momento e nell’immediato avvenire. Il 2024 è un anno di svolta e, probabilmente, anche uno dei più “democratici” se pensiamo a quanti cittadini del mondo si sono già (i russi) o si dovranno (americani e ucraini) recare alle urne. Ma torniamo per un momento a noi e rivolgiamoci – almeno finchè si può – alla realtà che più direttamente ci riguarda, altrettanto complessa e sfaccettata, tenendo sempre a mente l’importanza di tali considerazioni e l’indiscussa crucialità del nostro voto a queste Europee. Siamo tutti concordi nel dire che ci troviamo di fronte ad un primo passo in avanti che lascia, nel contempo, ancora molto amaro in bocca a causa dell’esclusione di migliaia di lavoratori e pazienti che non potranno godere dello stesso trattamento degli altri fuorisede. Per questo, dire che c’è ancora molto da fare non consiste nella maniera più assoluta in una mera constatazione di carattere puramente retorico: testimonia, al contrario, tutta l’indifferenza e l’incapacità della classe politica nel riuscire a risolvere una volta per tutte un problema che accomuna numerose categorie del mondo del lavoro e pazienti che si ritrovano per necessità ad essere lontani da casa. Fortunatamente – e almeno per questa volta – le studentesse e gli studenti sono salvi. Spese di viaggio, disponibilità dei trasporti, vincoli di studio o lavoro che prima impedivano a molti fuorisede di tornare nel proprio comune di residenza non saranno più d’ostacolo per l’attuazione di uno dei principi fondamentali di partecipazione democratica. Nelle Europee del 2024 non saranno costretti a barattare un loro sacrosanto diritto con qualche ingombrante dimenticanza politica. Eppure, il messaggio arriva forte e chiaro: il diritto di contare non è più negoziabile (ma solo per quest’anno).