Di Benedetta Berluti. Paura, per molti la paura può essere stimolante, quella grinta che ti fa lottare, che ti fa credere in qualcosa, per altri invece è straziante, ti fa sentire impotente, come se si avesse un blocco di cemento legato attorno ai piedi che non ti fa camminare, andare avanti, che ti limita.

Il mio viaggio all’interno del laboratorio inizialmente è stato caratterizzato dalla paura, paura di non farcela, di essere giudicata, di non essere abbastanza brava per prenderne parte, come se non lo meritassi.

Volevo mollare, far finta che era stato solo un incidente di percorso e dimenticarmi di quel ingresso in aula, della forza, di quel potere che potevo avere nelle mie mani, di quella sensazione di libertà dopo la lezione, perché ero impaurita.

Questa sensazione di inadeguatezza nel tempo l’ho trasformata in cambiamento, mi sono data quella possibilità di crescere, di essere finalmente me stessa senza condizionamenti, di esprimere quel dolore, quel malessere, quella voglia di confrontarsi, di rischiare, che negli anni avevo cercato di reprimere.

Il laboratorio mi ha accolta, mi ha migliorata, mi sono riscoperta di nuovo, ad oggi non ho più timore, ho fame di essere quella che sono, di combattere per quello in cui credo ed essere fiduciosa nei confronti della vita.

Questo cammino mi ha fatto capire quanto la scrittura possa essere la forma più potente per essere veri, per sfogarsi, sentirsi audaci, indipendenti e liberi.

Capire realmente cosa comporta essere giornalisti di vita.

Concludere un’esperienza, mettere un punto, chiudere un capitolo della propria vita sembra quasi spaventoso, a tratti lo è, iniziare qualcosa di nuovo, immergersi in una situazione mai vissuta precedentemente, una volta terminata però intimidisce nuovamente, si ripresentano i dubbi, la nostra comfort zone comincia a lasciarci, ad abbandonarci come se non fossimo più degni di stare al suo interno.

Ci spaventa doverle dire addio, quel ciao che mai avremmo pensato, quel arrivederci amaro ricco di nostalgia, di pensieri, di domande, di tristezza ma anche pieno di ricordi ormai inseriti nella nostra memoria e che ne faranno per sempre parte.

Questo laboratorio mi ha spaventato all’inizio, avevo il terrore di mettermi a nudo, di espormi senza peli sulla lingua di fronte a persone più grandi di me, a volti che non avevo mai incontrato.

Col tempo, con tanto tempo, ho iniziato a prendere coraggio, a fidarmi di me stessa, del rispetto degli altri anche se avevano un parere diverso dal mio, della professionalità dei miei colleghi, del professore, di Giulia e Giovanna, aprendo così un capitolo della mia vita che mi ha dato tanto, mi ha lasciato qualcosa dentro, quella sensazione che non è possibile identificarla, darle un aggettivo che la rispecchi fedelmente, é unica nel suo genere e forse proprio per questo motivo che non la dimenticherò mai, me ne ricorderó per sempre.

Con il passare degli anni forse riecheggerà un po’ di meno, perché siamo fatti così, ci dimentichiamo nella quotidianità cosa significa provare delle sensazione, ma quando riaffioreranno sarà come riaprire una parte di me, una parte di quella che sono e di quella che sarò, che mi ha formato e mi ha trasmesso il coraggio di essere ciò che si vuole senza paragonarsi agli altri, di dubitare ogni tanto, di essere fragili ma di avere sempre la forza di accertarsi e avere fiducia in noi, di essere unici come questa esperienza lo è stata per me.

Betty Friedan, credo sia stata la prima a dire che noi donne possiamo avere tutto ma non contemporaneamente e accettarlo è già una libertà, ho una vita davanti e voglio vivere tante vite in una sola, voglio tutto e non voglio limitarmi.

Ad oggi non temo più la paura, la vivo, l’affronto, e ne traggo beneficio.

Grazie.