Di Irene Bollici. Quaranta anni fa si calò nel pozzo di Vermicino per tentare di salvare Alfredo Rampi. Adesso se ne è andato a 77 anni Angelo Licheri: l’antieroe della tragedia di Vermicino. Era il 10 giugno 1981 quando tutta Italia si bloccò davanti alle televisioni a sentire di questo bambino caduto in un pozzo artesiano in via Sant’Ireneo situato lungo la Via di Vermicino che Roma a Frascati.

Dopo quasi tre giorni di tentativi di salvataggio il bambino morì nel pozzo, ancora oggi rimane uno dei casi mediatici più rilevanti della storia italiana. Il suo nome era Alfredo Rampi, ma per l’Italia divenne subito Alfredino.

C’è un prima e un dopo per la tragedia di Vermicino: per la gestione dei soccorsi, per  la copertura mediatica e per come in quelle ore quell’evento drammatico entrò nelle case di milioni italiani.

Per circa tre giorni i soccorsi provarono a tirarlo fuori, l’allarme fu dato in serata: il bambino si era allontano dai genitori nel pomeriggio e non fece rientro.

Il pozzo era stato scavato da poco in un terreno confinante ed era ricoperto da una pesante lastra, piccolo particolare che spinse inizialmente i soccorsi a credere che Alfredo non fosse li.

Fu un agente di polizia a ispezionarlo e a trovare il bambino.

I soccorsi si misero all’opera ma le operazioni di salvataggio si rivelarono subito complicate.

Tra tanti il primo  ad arrivare a Vermicino fu proprio Angelo Licheri, si fece calare a testa in giù per 45 minuti,  per tutti i 60 metri, era poco prima della mezzanotte fra il 12 e il 13 giugno, riuscì ad avvicinarsi così tanto da tentare di allacciargli l’imbracatura, ma Alfredino scivolò ancora più in profondità e involontariamente gli si spezzò il polso sinistro.

A raccontarlo è proprio lui: “Ho cercato piano piano di lavorare con le mani che poi non potevo farmi largo in ampiezza, solamente in verticale.

Appena sceso ho toccato il bambino e con un dito gli ho pulito la bocca mentre con i pollici ho tentato di pulirgli gli occhi, però lui è rimasto cosi e rantolava”.

 

“Appena sceso ho toccato il bambino e con un dito gli ho pulito la bocca mentre con i pollici ho tentato di pulirgli gli occhi, però lui è rimasto cosi e rantolava”, continua Licheri.

 

“L’ultimo tentativo che ho fatto è stato prendere l’indumento che aveva, sentivo che cedeva…

A quel punto gli ho mandato un bacio e son venuto su.

Non mi sento un eroe mi sento solamente un uomo che ha tentato di salvare un bambino”

 

Con queste parole Angelo Licheri chiude una delle sue ultime interviste.